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28 Mag

L’incubo del coranavirus


Mentre scrivo questa mia testimonianza, non mi sembra vero che l’incubo sia finito e che possa raccontare la nostra esperienza di contagiati dal Coronavirus. Il 13 marzo sono tornato dall’Albania proprio per sentirmi più al sicuro dal contagio, senza sapere che avrei vissuto a contatto diretto, prima con l’esperienza di alcuni confratelli e poi in prima persona. Ma andiamo con ordine. Appena arrivato a Napoli, dopo aver vissuto un viaggio avventuroso dall’Albania, in accordo con p. Ciro mi sono messo in quarantena obbligatoria per 14 giorni senza uscire di camera, aiutato dai confratelli per ciò che riguarda qualsiasi necessità. In questi giorni purtroppo p. Ciro ha iniziato a star male e quella che sembrava una situazione di normale influenza, si è aggravata fino al ricovero in ospedale. Ho pensato addirittura che fossi stato io a portare il virus in casa, contratto magari in aereo nel viaggio verso l’Italia. Ma non sono stato io visto che mi sono ammalato per ultimo.

            P. Ciro è stato prima ricoverato al Fatebenefratelli, dove in situazioni di precarietà estrema ha dovuto aspettare l’esito del tampone che risultato positivo ne ha disposto il trasferimento nel reparto Covid del Secondo Policlinico. Il padre ha dovuto combattere contro una brutta polmonite interstiziale ma ringraziamo il cielo, sembra esserne uscito alla grande.

            Nel frattempo si è ammalato anche p. Riccardo e più o meno con lo stesso iter del provinciale è stato ricoverato anch’egli nell’ospedale Loreto a Mare. Anche per lui c’è stata la presenza di focolai di polmonite e anche  il suo ricovero è stato abbastanza lungo anche perché, pur ripreso di salute, il Virus ha tardato a negativizzarsi. Nel periodo della convalescenza a casa, prima del ricovero in ospedale i due padri sono stati chiusi in camera. Hanno vissuto, come è capitato a noi altri che ci siamo ammalati successivamente, forse la sofferenza più grande di questa malattia, l’isolamento che io ho ribattezzato “solitudine sanitaria”.

            Nessun medico può venire a visitarti in casa ma si può avere soltanto una consulenza telefonica col medico curante e l’unico modo per fare un controllo serio rimane il ricovero in ospedale. Questo non può avvenire se non in seguito all’accertamento che il malato abbia parametri bassi soprattutto per ciò che concerne la saturazione del sangue che riscontra una polmonite in corso.

            Vista l’esperienza di p. Ciro e del ritardo col cui l’hanno ricoverato, p. Riccardo ha insistito per il ricovero e la sua  è stata una scelta intelligente. Fino al ricovero dei due in comunità, in casa ci siamo dati una mano per l’assistenza e per la gestione ordinaria delle cose, visto che tutto il personale era a casa. All’ammalarsi degli altri, mi sono sentito in dovere di prendermi la responsabilità di alcune cose. Per prima cosa, ho dovuto continuamente interagire col medico curante, poi prendere in mano la cucina e mantenere i contatti con l’esterno. C’era la necessità di qualcuno che ci facesse le spese, essendo tutti impossibilitati ad uscire e grazie a Dio abbiamo avuto degli angeli custodi che vi farò conoscere più avanti. Nel frattempo, ad un controllo col tampone fatto a tutta la comunità sono risultati positivi p. Giacomo, fratel Vito e p. Stefano . I sani siamo risultati io, p. Trifone e p. Aniello.

            Visto che tra i tre, ero io il più giovane e il meno a rischio non avendo altre patologie pregresse, ho preferito prendermi la responsabilità della gestione della casa per preservare gli altri. Devo dire che inizialmente è stata una gioia poterli accudire, cercando di non far mancare loro niente di quello di cui avevano bisogno perché impossibilitati ad uscire dalle loro stanze. Dopo tre settimane circa ho iniziato a sentire la fatica, l’affanno delle scale, mal di schiena che per me non erano normali. Le persone che mi circondavano dicevano che era la stanchezza, la tensione, la mascherina portata sempre ma io conoscevo bene il mio corpo. Anche la dottoressa della Asl sminuiva i miei lamenti ma l’ho letteralmente obbligata a farmi fare nuovamente il tampone dal quale è risultata la mia positività.

            Non vi nascondo che inizialmente ho avuto grande preoccupazione, non tanto per la mia salute ma per i confratelli in quarantena e per il peso che da me passava a p. Trifone e a p. Aniello, ma devo dire che sono orgoglioso di loro perché non si sono risparmiati. Per un lasso di tempo p. Trifone ha dovuto preparare colazione, pranzo e cena e portare il tutto davanti alle stanze mentre Aniello si preoccupava di non farci mancare tutto il resto, poi appena hanno riaperto le attività che preparano cibo da asporto, per il pranzo ci siamo affidati a loro. Quando si dice che il Covid 19 sia una normale influenza non è così. Fratel Vito e p. Giacomo sono stati praticamente asintomatici, ma per gli altri i sintomi sono stati per alcuni dolorosi e per altri fastidiosi ben distinguibili da quelli dell’influenza. Ma quello che ci accomunava era la paura che l’imprevedibilità di questo virus facesse precipitare la situazione da un momento all’altro.

            Dicevo poc’anzi, che abbiamo avuto degli angeli custodi che ci hanno accompagnato in questi mesi. I nostri amici Nino Sabatino, Gaetano Baccari e sua moglie Cristina non ci hanno fatto mancare niente di quello di  cui avevamo bisogno: il cibo, le medicine, e qualsiasi altra cosa ci servisse. Ci siamo sentiti più volte al giorno e hanno provveduto a noi in tutto, anche agli sfizi  per alleviare la sofferenza e la tristezza, cioccolata in primis. La loro è stata una presenza costante e premurosa potrei dire dehoniana. Hanno sofferto con noi e hanno anche gioito ogni volta che dalla Asl arrivava il risultato del tampone che era negativo.

            Nei mesi di quarantena siamo stati affidati alla vigilanza di un ufficio della Asl di competenza. Quotidianamente, ci ha chiamati una dottoressa o un’infermiera ad uno ad uno al telefono, malati e non, per monitorare i parametri dell’ossigenazione del sangue e della temperatura corporea. Visto la frequentazione telefonica quotidiana per circa 2 mesi, soprattutto con un’infermiera di nome Cinzia siamo diventati molto familiari, tanto da essersi definita affettuosamente la nostra Biancaneve e noi i suoi nani. Questo è stato possibile perché nelle telefonate c’è stata un’empatia che andava al di là della professionalità ma che sicuramente la arricchiva. Quella solitudine che abbiamo sentito è stata accompagnata e addolcita da questo angelo che ci ha letteralmente adottato e che continua a chiamarci ancora adesso che la sorveglianza è terminata. Il disegno allegato a questo mio scritto l’ha fatto lei sottolineando le nostre caratteristiche. E’ stato bello sentire dalla sua voce gioiosa e squillante la negatività di ognuno. L’ultimo a sentire questa parola e a  guarire dal Covid sono stato io.

            Adesso non è tutto finito. Stiamo cercando di tornare alla normalità. Per noi nulla è come prima tanto meno la vita comunitaria. Non è facile superare la paura dell’altro e non è facile nemmeno per tutti rispettare le norme per la prevenzione che tolgono tempo e libertà.  Il Signore ci aiuti a vivere in serenità questo momento di passaggio dalla malattia alla salute, dalla prigionia alla libertà, anche perché in alcuni di noi rimangono ancora ferite da rimarginare sia fisiche che psichiche.

            Non posso non ricordare in questo momento il caro p. Michele Critani. Ho saputo della mia negatività il giorno della sua morte e mentre gioivo per la sconfitta del virus in me, piangevo la perdita di un confratello ed amico. Senza farlo apposta avevo al collo una sciarpa che mi aveva regalato lui una delle ultime volte che mi aveva visto. Devo ringraziarlo per l’amore per l’Albania e per la premura di dover aiutare questa terra che aveva dato i natali ai suoi avi. Dal cielo lui continuerà a guardarci e ad intercedere per noi in questo tempo particolare.

Napoli, 24-05-2020

In corde Jesu

P. Gianni Dimiccoli